Una lunga stratificazione storica ha plasmato l’attuale Borgo di Ostia a partire dalla sua fondazione, per volere di papa Gregorio IV (827-844), intorno a un primo nucleo abitativo sorto in quello che doveva essere il suburbio della città romana. L’insediamento originario dovette raccogliersi sulle preesistenze di una necropoli romana, dove già in età paleocristiana, e con certezza nel VII secolo, quando papa Sergio I (687-701) la farà restaurare, era stata edificata la basilica intitolata alla martire Aurea, ancora oggi cattedrale della diocesi suburbicaria di Ostia, affidata al cardinal vicario di Roma.
Qualificato come civitas e ricordato nel Liber Pontificalis col nome di Gregoriopoli, dal pontefice fondatore, è munito di alte mura con torri e fossato, a protezione dalle endemiche incursioni saracene che solo pochi anni dopo, nell’agosto dell’846, saccheggeranno il territorio ostiense e portuense spingendosi fino a profanare la Basilica vaticana, allora extramurana.
Tre anni dopo il drammatico evento, nell’849, il pontefice Leone IV (847-855) celebrava una messa nella basilica di S. Aurea, impetrando l’aiuto divino in favore della flotta cristiana costituitasi in una Lega Campana, grazie al sostegno delle città di Napoli, Amalfi e Gaeta, che sotto la guida del console Cesario investiva i vascelli saraceni nelle acque di Ostia, infliggendo loro una dura sconfitta. Il glorioso episodio è immortalato nel celebre affresco di Raffaello nella Stanza dell’Incendio di Borgo dei Palazzi Vaticani, con il Castello sullo sfondo da poco ristrutturato e ampliato da Giulio II della Rovere (1503-1513), e l’antico corso del Tevere che ne lambiva le mura.

Riccardo Cuor di Leone a Ostia, verso la Terrasanta
Il Borgo fortificato di Ostia, raccolto intorno alla chiesa di S. Aurea, gestiva la fiorente attività delle saline, difendendo il litorale romano e controllando il fiume, la cui ansa bagnava il lato nord-occidentale dell’insediamento. La grande rilevanza strategica, nonché economica, dell’area è ben testimoniata dagli interessi contrapposti che destava, tra la sede episcopale di Ostia, la Curia e il Comune di Roma.
Una torre di guardia rivolta verso il mare doveva essere già presente nel 1190 quando ci viene descritta da un testimone d’eccezione, appena sbarcato a Ostia. È Ruggero di Hoveden, cronista al seguito di Riccardo Cuor di Leone allora impegnato nell’iter Hierosolymitanum, il pellegrinaggio armato verso la Terrasanta per partecipare alla Terza crociata (1189-1192). Ruggero ricorda una torre ben munita, forse Tor Boacciana, eretta su un sito disseminato di antiche rovine e ormai abbandonato all’incuria e allo spopolamento: «turris pulchra, sed solitaria: et sunt ibi ruinae maximae antiquorum murorum». Dalla fine dell’età romana, il declino istituzionale e demografico aveva favorito il rimboschimento dell’area. Re Riccardo si introduce in una folta selva chiamata Selvedeme popolata da cervi e caprioli, e percorre un’antica strada lastricata che si inoltra, inghiottita dalla foresta, per ventiquattro miglia: forse il tracciato della via Severiana.
Discendere il Tevere assieme a Enea Silvio, papa Pio II Piccolomini
Dopo quasi due secoli di contrasti istituzionali, la giurisdizione sul Borgo e le saline è finalmente affidata da Bonifacio IX (1389-1404) alla Camera Apostolica, stabilendo la costruzione di una prima rocca a cui fossero affidati compiti doganali. Dei castellani deputati al presidio della fortificazione conosciamo almeno un nome: il missore Battista de Paolo de Goccio, che nel 1408 difende Ostia dall’assedio e della breve occupazione da parte del re di Napoli Ladislao di Durazzo (1386-1414), allora in guerra col papa e impegnato a realizzare un ambizioso quanto arduo progetto di unificazione del regno d’Italia sotto la sua corona.
È questo il primo cenno nelle fonti storiche che attesti l’esistenza a Ostia di un fortilizio autonomo dalla cinta muraria, probabilmente collocato nello stesso sito dell’attuale Castello tardo-quattrocentesco, sul lato occidentale del circuito murario medievale, di cui sopravvive la porta Nord. Tra il 1423 e il 1424 è papa Martino V Colonna (1417-1431) a far innalzare un nuovo torrione circolare, come testimonia il breve di affidamento del progetto al nobile romano Lorenzo di Pietro Omniasanti, detto il Mancino. Nel 1454, un’epistola del castellano Giacomo Conte conferma l’esistenza di un fossato alimentato dal Tevere, mentre altri documenti menzionano il «ponte levatoglio de la rocha» con due catene.
Ma è di qualche decennio dopo la testimonianza di gran lunga più suggestiva, ancora una volta legata a un viaggio. Ci viene dai Commentarii di un pontefice umanista: Pio II (1458-1464), al secolo Enea Silvio Piccolomini. Nel maggio del 1463 il papa, assieme alla corte pontificia, decide di intraprendere un viaggio verso il litorale, approfittando dell’invito del cardinale francese Guillaume d’Estouteville, allora impegnato in un’audace opera di riqualificazione del Borgo di Ostia, di cui è buon testimone il circuito murario ancora oggi visibile, eretto ricalcando il percorso medievale.
I Commentarii descrivono la suggestiva discesa del battello pontificio lungo il Tevere, avvolto in un bucolico paesaggio primaverile, memore dei carmi virgiliani. Approdato a Ostia, sul lido, sono offerti al papa sette grandi storioni, detti anche lupi tiberini: un dono all’apparenza povero e in realtà degno di Sua Santità, in quei tempi ancora precari e non privi di incertezze. La notte cala preannunciandosi tempesta, e la corte pontificia è subito alloggiata nel palazzo episcopale. La torre martiniana, «excelsae et rotundae ad loci custodiam», appare come una fortificazione ben dotata agli occhi di Pio II, ma il Borgo, al contrario, è semiabbandonato e popolato solo dagli armigeri a guardia della dogana e da poveri pescatori di origine dalmata, assieme ai lavoratori delle saline. Lo stesso palazzo episcopale, se non altro restaurato pochi anni prima da Eugenio IV (1431-1447), sembra comunque insufficiente a ricoverare degnamente la corte pontificia nella notte di burrasca: il vento è tanto forte da far piombare a terra la campana della torre, mancando di poco un monaco ubriaco, addormentatosi sotto le mura.

Secondo la testimonianza di papa Piccolomini il torrione costruito da Martino V doveva essere più alto rispetto a quello allora visibile, essendo parzialmente sprofondato nel terreno a causa di un recente terremoto. Questo torrione, circondato da un fossato, a cui si accedeva dal borgo tramite un ponte levatoio, era collegato a una torre quadrangolare, costruita sul versante meridionale della fortificazione, per mezzo di un altro ponte levatoio istallato sul lato opposto a quello dell’ingresso e a notevole altezza da terra. Queste due strutture, un tempo collegate alla cinta muraria, sono ancora riconoscibili nell’attuale Castello di Giulio II.
L’assenza nel racconto di Pio II di ulteriori riferimenti ad altri sistemi difensivi lascia supporre che solo la Rocca ostiense, di dimensioni peraltro piuttosto contenute, fosse deputata alla difesa di un territorio – autentica porta di Roma – da sempre esposto alle mire nemiche. Ma una stagione nuova si preannunciava. Saranno due papi Della Rovere, Sisto IV (1471-1484) e Giulio II (1503-1513), a edificare il Castello e far risorgere il Borgo di Ostia.
(a cura di Francesco Spina)
Per approfondire:
- Il Castello di Giulio II ad Ostia Antica, a cura di S. Pannuzi, 2009, Documenti di archeologia postmedievale, 4, Firenze, All’insegna del Giglio.
Alcune fonti:
- Le Liber Pontificalis. Texte, introduction et commentaire, ed. L. Duchesne, 2, Paris, Ernest Thorin, 1892, 81-82.
- Chronica magistri Rogeri de Houedene, ed. by W. Stubbs, 1870, Rerum Britannicarum Medii Aevi Scriptores, or Chronicles and Memorials of Great Britain and Ireland during the Middel Ages, 3, London, Longman & co. and Trübner & co.
- Pio II (Enea Silvio Piccolomini), I commentarii, a cura di L. Totaro, 2 v., Milano, Adelphi, 2008